La caparra confirmatoria è uno strumento di garanzia che viene spesso utilizzato dalle parte anche (ma non solo) negli investimenti immobiliari, specie quelli di grande portata. E’ anche uno strumento complesso, che viene spesso confuso con il classico acconto. In questo articolo approfondiamo la questione, spiegando in che cosa consiste esattamente la caparra confirmatorio, descrivendo i suoi meccanismo e fornendo qualche informazione utili su cifre e tasse.
VUOI COMPRARE CASA? Scopri cosa possiamo fare per te
Cos’è la caparra confirmatoria e differenze con l’acconto
Spesso la gente comune fa confusione tra la caparra confirmatoria e l’acconto. In effetti, sotto certi punti di vista, i due strumenti possono apparire simili, se non addirittura identici. La discriminante, in realtà, è principalmente giuridica e, in quanto tale, capace di produrre effetti solo nel caso in cui l’investimento andasse incontro a problemi. Se l’accordo viene finalizzato come previsto, gli effetti invece sono gli stessi: il venditore detrae sia la caparra che l’acconto dal prezzo finale.
Ad ogni modo, l’acconto è semplicemente un anticipo sul prezzo. Lo scopo dell’acconto è quello di offrire una garanzia al venditore, e nello specifico la garanzia che il compratore rispetti i patti. Dal punto di vista legale, in realtà, l’acconto presenta caratteristiche simili al significato che il termine “caparra” assume nell’immaginario collettivo.
Discorso simile, ma allo stesso tempo molto diverso, per la caparra confirmatoria. Formalmente, pur determinando una spesa anticipato, la caparra non è un anticipo sul prezzo, ma una specie di penale concordata. Reca in sé, infatti, una forma di risarcimento civile nel caso in cui la parte “spendente” non rispetti l’accordo. Tuttavia, come vedremo nel prossimo paragrafo, il meccanismo della caparra confirmatoria prevede una tutela molto forte per il compratore, nel caso interpreti egli stesso il ruolo della parte danneggiata.
Come funziona la caparra confirmatoria
Formalmente, la caparra confirmatoria non funziona come l’acconto. Dunque, al momento del rogito, se tutto è andato come previsto e come concordato tra le parti, il venditore deve restituire la caparra.
Tuttavia, per una mera questione di praticità, e per non produrre un doppio passaggio di denaro, è possibile, proprio al momento del rogito, convertire la caparra in acconto. Dunque, si procede con una semplice detrazione: il venditore detrae la caparra dal prezzo.
Questo nella migliore delle ipotesi. Ma cosa accade se il rogito salta? E’ una evenienza meno rara di quanto si possa pensare.
Il compratore potrebbe non riuscire a mettere insieme la somma necessaria, il venditore potrebbe aver trovato nel frattempo un’offerta più interessante o semplicemente aver cambiato idea. E’ proprio quando si ragiona sulla peggiore delle ipotesi che si intuisce la profonda differenza tra acconto e caparra confirmatoria.
Se il venditore non rispetta l’accordo, l’ormai ex compratore ha diritto a una cifra pari al doppio di quanto versato sotto forma di caparra.
Se a non rispettare l’accordo è il compratore, il venditore, molto banalmente, può trattenere la caparra.
La particolarità di questo meccanismo risiede nell’impossibilità, per il venditore, di rifarsi civilmente sulla parte che non ha rispettato l’accordo. In estrema sintesi, e utilizzando una espressione comune, non “può citarlo per danni”, proprio perché la caparra confirmatorio è di default una sorta di penale concordata anticipatamente.
Di conto, se al posto della caparra fosse stato pagato un semplice acconto, il venditore potrebbe benissimo citare in giudizio l’altra parte per ottenere un risarcimento ulteriore.
Caparra confirmatoria: costo e tasse
La questione più importante, forse, è economica. Chi è costretto dalle contingenze a versare una caparra confirmatoria ha una sola preoccupazione: il prezzo della caparra stessa. Insomma, a quanto ammonta la caparra? Si devono pagare tasse?
Per ciò che concerne l’ammontare della caparra, esso viene deciso in fase di contrattazione. Certo esistono delle prassi che, almeno nella stragrande maggioranza dei casi, vengono rispettate. Tali prassi prevedono che la caparra non debba essere mai inferiore al 10% al prezzo complessivo dell’immobile, e mai superiore al 20%. Si parla quindi di parecchie migliaia di euro, se non decine di migliaia di euro.
Il discorso fiscale è, se possibile, ancora più complicato. Innanzitutto sì, sulla caparra vanno pagate alcune tasse. Queste però cambiano in base alla natura fiscale dell’investimento. Se l’investimento sconta l’IVA (es. acquisto da costruttore) allora si paga un’imposta sostitutiva di 200 euro. Se l’investimento non è soggetto a IVA, allora si paga una imposta di registro pari al 3% della caparra, più un ulteriore 0,50%.
Consigli per una caparra confirmatoria equilibrata
Come abbiamo visto, la caparra confirmatoria è uno strumento più complicato di quanto si possa pensare. Uno dei tanti rischi è pagare una cifra eccessiva, senza contare la possibilità (sempre presente), che nel contratto venga inserita qualche clausola che avvantaggia la parte avversaria.
Il consiglio, dunque, è di farsi assistere anche e soprattutto in questo passaggio. Il contributo di un esperto vi aiuterà a “strappare” una caparra più bassa, e agirà sulla redazione del contratto in funzione di controllo.
Dunque, non affrontate da soli questo passaggio, se non volete trovarvi a sborsare fin da subito decine di migliaia di euro, magari con il rischio di non rivederli mai più.